Rubata e sparita nel nulla da 49 anni, la celebre Natività di Michelangelo Merisi da Caravaggio – portata via dall’oratorio di San Lorenzo, nel cuore storico di Palermo nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 – non è andata distrutta. È la novità che emerge dalla relazione della presidente della Commissione parlamentare antimafia nella passata legislatura, Rosy Bindi sull’inchiesta svolta dalla Commissione e che sarà presentata a Palermo il 30 maggio. Un pentito di mafia ha raccontato che l’opera è finita in Svizzera.
Qualcuno dice che il lavoro fu rubato dai feroci corleonesi per poi divenire, molti anni dopo, l’oggetto di un tentato scambio della mafia in cambio dell’alleggerimento del 41 bis, il regime di carcere duro per i detenuti mafiosi. Qualcun’altro, invece, sostiene che venne seppellito insieme ai tesori accumulati dal boss Gerlando Alberti, e quindi dimenticato in qualche oscuro forziere nascosto chissà dove. Ma c’è anche chi lo dava per distrutto: conservato maldestramente in una stalla in attesa di piazzarlo al mercato nero, divenne cibo per topi e maiali. E invece no. Il Caravaggio perduto potrebbe esistere ancora. Potrebbe fare bella mostra in qualche collezione privata, talmente esclusiva che sarebbero veramente in pochissimi quelli ammessi ad ammirarla. Oppure potrebbe essere conservato in una cassetta di sicurezza, una cassaforte nel caveau di una banca estera per celare il più esclusivo dei dipinti.
Secondo l’Antimafia il capolavoro di Michelangelo Merisi si trova da allora al di fuori dal nostro Paese, in uno o più Paesi dentro e fuori l’Europa a causa della probabile scomposizione dell’opera in più parti, effettuata per mimetizzarne la provenienza furtiva e massimizzare i proventi derivanti dalla vendita non di uno ma di più quadri, ciascuno parte di un capolavoro assoluto. “Pertanto, a livello internazionale – osserva Bindi nella Relazione finale sul lavoro svolto dalla Commissione antimafia – occorrerà una forte cooperazione giudiziaria e intergovernativa per seguirne le tracce e auspicabilmente arrivare un giorno a ritrovarla e restituirla alla città di Palermo, alla Nazione e al mondo della cultura”.
Nel documento l’Antimafia spiega che sono stati individuati sia gli esecutori materiali sia coloro che hanno gestito le fasi successive della custodia e del trasporto dell’opera, e della successiva vendita. Dalle indagini è emerso che è stato senza dubbio un “furto di mafia”: convergenti dichiarazioni rese alla Commissione dai collaboratori di giustizia Gaetano Grado e Francesco Marino Mannoia hanno chiarito che il furto maturò nell’ambiente di piccoli criminali, ma che l’importanza del quadro, e il suo enorme valore, indussero i massimi vertici di Cosa nostra a interessarsi immediatamente della vicenda e a provvedere immediatamente a rivendicare l’opera. La Natività fu quindi consegnata, dopo alcuni rapidi passaggi di mano, prima a Stefano Bontade come capo del mandamento “competente” per il furto e poi a Gaetano Badalamenti, all’epoca a capo dell’intera organizzazione mafiosa.
Proprio su proposta della presidente Bindi, la Commissione aveva riaperto il dossier e condotto una propria autonoma indagine sul furto del famoso dipinto, alla ricerca degli autori materiali, dei mandanti e soprattutto del destino dell’opera, tutt’oggi avvolto nel mistero.