The rest is silence. Pronunciando queste parole muore Amleto, principe di Danimarca, e maschera archetipica del teatro moderno.
L’opera di Shakespeare è dominata da una concezione del teatro come prototipo della vita stessa, una visione che si alimenta di un forte senso di precarietà dell’esistenza: la vita come continua sfida alla morte, una sfida a volte persa come in Macbeth (la vita non è altro che un’ombra che cammina, un povero attore), a volte vinta attraverso la gloria delle opere umane come nei Sonetti (finché uomini respireranno o occhi potranno vedere / questi versi avranno vita e ti daranno vita). In noi, le parole di Amleto evocano anche altri rapporti, di cui il drammaturgo ha sapientemente punteggiato le sue opere: tanto la vita sfida la morte, quanto il suono (la musica) sfida il silenzio, e l’atto di sostenere un suono impedisce al silenzio di prendere il sopravvento. Eppure suono e silenzio si danno forma l’un l’altro, perché la forma di ogni brano musicale è data dal modo in cui esso si oppone al silenzio che lo circonda, cosicché la musica forma un’architettura sonora che dà forma al silenzio, e riceve dal silenzio la sua forma. Abbiamo così scelto di celebrare il Bardo circondandoci, come circondato ne é il suo teatro, della musica di compositori inglesi a lui coevi, creando un’altra complementarietà: tanto Shakespeare riceve senso dai compositori, quanto essi da lui, e insieme ricreano per noi l’ambiente culturale della Elizabethan age, epoca di grandi sommovimenti e profonde trasformazioni culturali e religiose, che segneranno per sempre la storia dell’Inghilterra. Di questo ci narra la vita degli autori che vi presentiamo: John Dowland, liutista virtuosissimo celebrato in versi, del quale si tramanda l’incerta storia dei suoi turbolenti rapporti con la regina Elizabeth e la vicenda delle sue conversioni, utili forse a trovarsi un impiego;
Orlando Gibbons, compositore e Gentleman della cappella di corte – autore prediletto del pianista Glenn Gould – che morì in circostanze assai sospette; William Byrd, organista e compositore, cattolico, la cui fama crebbe all’ombra di Mary I – la Sanguinaria – e fu così grande da proteggerlo poi sotto il regno di Elizabeth I, così che continuò a comporre, dedicandosi perfino alla stesura di Messe per la liturgia romana. I tre autori appartengono a quel gruppo che gli storici definisce dei virginalisti, dal nome virginal strumento a tastiera in voga all’epoca in Inghilterra, sostituto domestico del clavicembalo nella pratica per diletto di gentiluomini e dame di alto lignaggio. A questo uso della musica si riferiscono i brani che ascolteremo, inanellati come in suite per mano di Salvatore Passantino e accompagnati da letture:composizioni pensate per essere cantate e suonate anche alla fine di una cena tra gentiluomini, dal carattere oscillante tra il gentile e l’intimo, il mesto e lo scherzoso.
Andrea Emanuele
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